RIFLESSIONE SUL FEMMINICIDIO

RIFLESSIONE SUL FEMMINICIDIO:

PAURA E RABBIA DUE FACCE DELLO STESSO DRAMMA

Le ricerche criminologiche in tema di violenza di genere mostrano con freddezza che su dieci femminicidi, sette sono preceduti da altre forme di violenza. I dati dell’Istat, aggiornati, parlano chiaro: 6 milioni 788 mila, ossia il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ( quasi una su tre) hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica ( il 20,2% ) o sessuale ( il 21%). Veri propri stupri o tentati, il 62,7% dei quali commessi da un partner attuale o precedente. Aumentano i modo preoccupante, i bambini costretti, loro malgrado, ad assistere ad episodi di violenza sulla propria madre. Sono loro le vittime secondarie dei femminicidi, spesso scatenati da movente passionale, una rabbia che esplode incurante dei danni alla donna e ai bambini, che come ben noto, essere stati spettatori di tali brutalità può far loro immagazzinare come “normale” l’uso della violenza, segnandoli definitivamente nella loro esistenza futura. Un dramma nel dramma.

La vittima donna, muore per mano di un uomo che quasi sempre, da tempo era già il suo aguzzino. Un’ escalation di violenza, che sfocia in delitti “annunciati”. Frasi oramai di prassi. Titoli di giornali cui ci si sta abituando. Nemmeno il tempo di capire una storia, che ne accade un’ altra. Cambiano i volti, ma forma comportamentali si somigliano.

Ci stiamo abituando al dramma della violenza. Sono 76 vittime dall’inizio anno.

Questo quadro sconcertante paralizza ancora maggiormente chi si appresti a provare a fare una riflessione sul tema.

La logica imporrebbe di volgere lo sguardo alla prevenzione, che può appunto anticipare e controllare situazioni che diversamente possono deviare verso strade senza ritorno. Ma questa appare una brutalità senza logica, fuori controllo, un’emergenza cui mettere mano seriamente.

Questo fenomeno di violenza contro la donna non asseconda completamente le regole di alcuni reati, la cui gestione appare meglio controllabile, la liquidità di questo fenomeno, per citare il sociologo Bauman, sfugge le dinamiche di protezione, che ripetutamente si mettono in campo in aiuto alle donne.  Invece di veder diminuire i numeri, toccare l’ efficacia dei risultati, quasi ogni giorno si sente di un’ altra donna che muore per mano del proprio uomo. Chiaramente questo è il segnale forte e chiaro che non basta, che si è di fronte ad un fenomeno complesso che necessita interventi strutturati e di sistema.

La cronaca ci racconta che le aggressioni sono per lo più tra le mura domestiche, una rabbia che sfugge di mano e che si arma di una violenza assassina. A volte, il quadro socio economico appare degradato, altre per nulla, ecco quindi che anche le spiegazioni di tipo economico, come fattore scatenante, sballano le loro certezze. Sono fenomeni trasversali, senza regole identificative assolute, le vittime appartengono a tante culture, gli assassini ad altrettante.

Una vera piaga del nostro tempo, che mortifica una società inerme che non protegge, che non riesce a rendere efficienti gli strumenti di garanzia e tutela verso la donna.

Qualcosa sfugge nel meccanismo che deve essere di garanzia per la donna e in quelle lacune si insinua subdolamente e prende forza un agito, che si macchierà di sangue.

Per comprendere le dinamiche comportamentali ci si deve calare realisticamente nei panni di queste donne, l’autopsia psicologia racconta di storie drammatiche, prolungati abusi, sofferenze interiori, celate, che solo coloro che le vivono, forse potrebbero commentare, se avessero scelto di vivere. Un scelta che non rappresenta più la facoltà ovvia dell’ essere umano, di proteggere se stessa, ma che si lascia distruggere.

Sono pagine di drammi le storie dei femminicidi, agghiaccianti le storie che emergono post mortem o per bocca di qualche miracolata, che lasciano sempre lo sconforto che qualcosa di più si sarebbe potuto fare.
Ci si interroga, come fermare questa strage di donne, che identificano la società come povera di qualsiasi dignità, che non protegge.

Una PERSONALE riflessione attenta deve scavare le radici dei perché, deve analizzare la criminogenetica di queste morti, andando a fondo del lato oscuro di queste relazioni malate, di pseudo amori che si incastrano male, che si cristallizzano su valori distorti, in cui le regole non hanno valore, il rispetto è’ perduto e si auto alimentano attraverso scelte, che drammaticamente spingono, da un lato verso soprusi e dall’ altro verso il lento soccombere, che lentamente uccide.

Pericolose derive anche identificare queste tragedie come frutto di politiche di immigrazione benevole. Per quanto i dati rimandino anche ad assassini extracomunitari, altrettanto vero il contrario. Stigmatizzare il problema, come fosse solo di razza, aiuta solo a creare disvalore all’integrazione culturale, spinge solo a trovare scusanti politiche di coloro che preferiscono puntare il dito, senza proporre soluzioni.

Ogni fenomeno tragico della storia passa attraverso anche grosse perdite, ma la colpevolizzazione di talune categorie, rispetto ad altre, da sostegno solo all’odio, fomenta le diversità e in qualche modo giustifica azioni tragiche a priori, quale sia la nazionalità dell’autore del crimine o della vittima. Un essere è morto per mano di un altro essere umano. Questa la cultura da comprendere e condividere, oppure continueremo a renderci complici di assurde strumentalizzazioni che a nulla portano. Come del resto appare evidente dai dati drammaticamente i crescita.

La personale esperienza e il contatto negli anni con donne vittime di violenza, purtroppo numericamente numerose, fotografa quasi sempre uno spaventoso comune denominatore: sebbene siano situazioni diverse, la loro cultura di vita appare molto lontana da quella che rimanda alla ‘normalita’, alla quotidianità di una relazione sana, fondata sul rispetto reciproco.

Non mi riferisco alla cultura sociale della vittima, intesa come suo sapere, bensì alla cultura del loro vivere, dove appare normale l’accettazione, di ciò che per chiunque non lo sarebbe, di una convivenza fatta di violenza inferta e soprusi subiti, della cui pericolosità si ha ben coscienza,  una scelta amara, incomprensibile, che diventa mortale.

Qualcosa trattiene queste donne e non le lascia allontanare dal proprio aguzzino.

RITENGO Rabbia e paura sono due espressioni di uno status, che se miscelate ad altre vulnerabilità, come gelosia, aggressività e fragilità possono sfociare in comportamenti non coerenti, ne controllati, bensì autodistruttivi.

Qualsiasi rapporto lavorativo, di coppia, sociale si supporta da un equilibrio di scelte, valori e regole che ne determinano lo scorrere entro binari di banale quotidianità. Scelte silenti, costanti che lasciano scorrere il tempo secondo ciò che si chiama vita, alti e bassi, normalità.

L’incontro sfortunato, a volte casuale, tra rabbia e paura, tra aggressività e fragilità , tra violenza e timore può innescare meccanismi fuori controllo, in relazioni apparentemente normale, ma in cui mancano fattori di stabilità, di equilibrio, senza più regole del rispetto, un meccanismo che si guasta e subire diventa la quotidianità ed abusare la sola affermazione di un se’ perduto.

DALLA MIA ESPERIENZA HO POTUTO CONSTATARE CHE Queste anomalie comportamentali hanno genesi lontane nel tempo, la storia da sempre racconta di soprusi tollerati da p’arte della donna da una società maschilista e possessiva, che non è facile da sradicare, esistono popolazioni che, ancora ai tempi nostri, giustificano atti disumani e pratiche invalidanti, la crudeltà verso la donna rappresenta purtroppo, ancora un tema drammaticamente irrisolto. La storia quindi ha mostrato anche una dimensione estremamente maschilista cristallizzata nel tempo e oggi, le conseguenze di questi ancoraggi al passato, di un pericoloso discollamento ai valori più umani,  porta con sé ancora il dramma della violenza di genere che miete vittime, costantemente.

Solo una decisa inversione di tendenza può ridimensionare questo allarmante ed attuale dramma sociale.
In primis, lo stop deve essere forzato dalla cultura, dalla formazione nelle scuole, dall’educazione, dal senso di collettività e di rispetto reciproco che deve prevalere, ponendo nuove regole di comportamento verso la donna, denunciando fortemente qualsiasi forma di sopruso e di violenza di genere.

.L’azione deve farsi pianificata e strutturata. Il lavoro sinergico e pianificato della svariate parti coinvolte, deve mirare alla ripianificazione culturale e sociale del modello della donna. Lo stereotipo della povera vittima indifesa, andrebbe sostituito a quello di una donna protetta, supportata da un sistema a cui ella stessa sa bene potersi rivolgere in caso di necessità. Agli uomini violenti e maltrattanti il messaggio deve arrivare forte e chiaro: nessuno sconto, punizioni severe e rigore assoluto.

Chi subisce violenza, chi teme per la propria incolumità, deve poter contare su interventi certi ed efficaci, luoghi a cui chiedere aiuto, efficaci, concreti. Molti devono essere i centri anti violenza, luoghi di accoglienza, finanziati e strutturati a garantire la protezione.

La mia personale esperienza mi ha portata ad cooperare con strutture predisposte ad accogliere e donne vittime di violenza, ma se da un lato ho avuto modo di incontrare volontarie meravigliose, professioniste di grande sensibilità e preparazione professionale, dall’altro ho sempre assistito a gravi carenze economiche, cui le stesse dovevano far fronte, rendendo il loro operato una immensa fatica. Queste lacune vanno colmate, i centri anti-violenza vanno finanziati con serietà, ne servono altri, così come è fondamentale far conoscere attraverso tutti gli strumenti social, giornali e trasmissioni la loro esistenza, affinché come detto, essi possano diventare un luogo  privilegiato a cui la donna, alla prima avvisaglia di violenza, possa rifugiarsi, ricevendo protezione e risposte concrete.

Le norme esistenti, allo stesso tempo vanno riempite di certezza, il disvalore sociale deve essere compreso e non tollerato. L’istituto della pericolosità sociale merita di essere rivisto con attenzione. Vi sono nella mia esperienza casi di donne che temono per la propria incolumità, a fronte di uomini da cui hanno subito violenza, che hanno già scontato la propria pena. Uomini liberi, di cui le stesse dichiarano di essere ancora terrorizzate. In situazioni come queste, sarebbe importante garantire la serenità a queste donne di non vedersi ripiombare nell’incubo della violenza, certamente senza mortificare i diritti dell’uomo, ma rendendo efficace la tutela per chi dice di avere paura e si temere per la propria vita.

La fermezza deve essere assoluta, nel duplice direzione sia della vittima, che del maltrattante. Per entrambi la consapevolezza dell’esistenza di strumenti concreti, di protezione e di sanzione.

L’azione deve essere congiunta, mirata, una rete connessa che comunica, tra le forze dell’ordine, i centri anti-violenza e le istituzioni. Solo questa sinergia può combattere efficacemente paura e rabbia, svuotandole entrambe della forza distruttiva che portano con se, se lasciate senza controllo.

L’azione mirata e fatta sistema, programmatica di gestione del fenomeno, deve avere come scopo principale la restituzione alla donna della propria libertà di decidere, di chiudere una relazione se valuta non più sana  e sicura, senza temere per la propria vita, un diritto per sé stessa, che però non le si ritorca contro, generando violenza.

Questi rapporti di natura complessa nascono e si nutrono di valori malati, pregressi irrisolti e predisposizione alla violenza, la gelosia ed il possesso dell’uomo finiscono per annientarne la sua lucidità. Il maltrattante confonde i comportamenti della compagna, trasformandoli in attacchi personali, vede ciò che non esiste, proietta sulla donna pregressi di vissuti mai gestiti e sfoga sulla stessa la rabbia contro un mondo che in qualche modo, a suo dire non lo ha compreso. Ecco quindi che la donna diventa bersaglio privilegiato di traumi sottesi, di una rabbia mai curata, che giorno dopo giorno innesca un’aggressività, che spesso diventa incontrollabile. Laddove la donna si ribelli, mostri all’uomo la propria superiorità ed autorevolezza nel rapporto, spesso scatena in lui il movente assassino. “Era diventata investibile, mi voleva lasciare, non potevo permetterglielo…”, queste le “giustificazioni” di un assassino.

La donna, soprattutto se crede nel rapporto fa estrema difficoltà a prendere coscienza dei campanelli d’allarme. Spesso la basa autostima di sé la induce anche a sentirsi colpevole di quegli abusi subiti. Sono dinamiche che sfuggono la logica di coloro che non le vivono, ma la complessità del fenomeno e i rischi che si porta dietro, impongono un’attenzione particolare e mirata.

Il vero traguardo sarebbe quello di trasmettere una cultura nuova, di intollerabilità di questi fenomeni, attraverso strumenti efficienti e risolutivi.

Devastante a parere di chi scrive, questa scelta di spettacolarizzazione continua delle tragedie. Vittimismo e propagande sterili non fanno che alimentare menti fragili, che possono anche trarre ispirazione ed emulare, al fine di liberare sé stessi da ciò che osservano quotidiano.

Il MIO Maestro professor Ugo Fornari, né “Il fascino del Male” fotografa bene la fragilità dell’essere umano, non sempre folle, banalmente cattivo, che invece del bene sceglie il male, creandosi giustificazioni con sé stesso, che traggono forza e sostegno dal male nel mondo.

Basta spettacolarizzazione della tragicità del nostro tempo, ciò che va insegnato e mostrato ai giovani è il disvalore e le severe punizioni, ciò che va diffuso è l’allontanamento a queste forme di barbarie, che devono restare chiuse in un perimetro che la società denuncia a gran voce. Sono profondamente contrariata dalle ricostruzioni televisive di drammi privati, che se da un lato mostrano la fragilità della natura umana, dall’altra armano mani di coloro che dall’emulazione potrebbero trarre ispirazione. Non vanno taciute, ma neppure spettacolarizzate, i drammi sono personali e la loro risoluzione deve restare ai professionisti.

Diffondere cultura significa provare a cambiare le menti. Da professionista del settore, auspico realmente una presa di coscienza maggiore relativamente a questi drammi, nella direzione culturale e protettiva, principale compito di tutti coloro che desiderino scrivere pagine diverse, IO PER PRIMA, da quelle oramai troppo sporche di sangue, dei giorni nostri.

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